Arte e cultura
Valentina Formisano, disegnatrice e incisora, incentra la sua ricerca intellettuale, immaginativa e interattiva sul corpo umano.
Sergio Ferroni

L’ arte di Valentina Formisano

Lo trasfigura tra informale e gestuale, elabora in immagini potenti una macchina anatomica disarticolata, non reale ma simbolica che nella sua pittura diventa viscerale e gli organi vitali, in tutto il loro realismo, sono animati di energia e di vita propria. Natura viva, capacità autogenerativa, fisicità e presenza corporea divengono sensazione. Definisce la cifra stilistica che parte dal corpo umano per esplorare l'inconscio e il mondo oltre la materia. Pittura possente che supera la distinzione tra astratto e figurativo, tra espressionismo e informale mettendo a nudo l’immanenza espressiva del corpo che più che materiale è esistenziale. Di grande impatto visivo, trascende i confini tra figurazione classica e astrattismo moderno con vigore coloristico animato da un realismo a tratti impietoso. Negli organi enfatizzati dalla densità di colore, emancipati dai canoni della bellezza stereotipata, si percepisce un corpo non normato, indagato poeticamente e spiritualmente con reminiscenze scientifiche. Parti biologiche che reclamano il loro posto nel mondo nella loro dimensione più carnale, schiacciata dal peso dell’esistenza custodiscono la verità con lo “svelamento” come reliquie. Umanesimo contemporaneo che ripercorre la tradizione pittorica, ne supera i confini verso il modernismo, diviene osservatorio interno di un mondo invisibile che dà immagine percettiva acuta e consapevole alle forze che vi agiscono. L'esigenza psicologica spinge l'artista a manipolare il corpo umano espresso nella sua vulnerabilità, un percorso autentico che contamina la sua pittura con le suggestioni. Viscere, reni, cavità toracica e cranio, come la scatola nera contenente la memoria del vissuto, prendono vita dai suoi pennelli. Una traccia pionieristica che mette in discussione lo standard di bellezza codificata in immagini, sollevando nuovi interrogativi sulla percezione sociale del corpo e degli elementi elastici e mobili che lo costituiscono. Enfatizzando la forza dirompente delle forme che si costruiscono nell'alternanza tra fragilità e resilienza. Le opere esposte a Beearte, Galleria Borghini, che dedica attenzione agli effetti della luce nell'arte, sono sperimentazioni tra la pittura e la grafica d'arte. Veri e propri ex-voto contemporanei per nulla stilizzati in teche luminose, monotipi di medio e grande formato realizzati su carte non convenzionali, come i lucidi da geometra. Una scelta tecnica per versatilità e resistenza ma soprattutto per trasparenza che diviene luminosa esaltando per sottrazione il segno, la cancellazione tramite spatole e punte dal piano vitreo sul quale l'inchiostro offset viene rullato (vi si poggia la carta e tramite la pressione esercitata manualmente con l'ausilio di un rullo in caucciù l'inchiostro e il disegno si trasferiscono sul supporto realizzando un monotipo, ovvero un'opera unica dal sapore immediato e gestuale data la necessaria velocità di esecuzione al fine di evitare che l'inchiostro steso sulla matrice asciughi inesorabilmente). Queste opere sono concepite come radiografie. Immagini che appaiono in controluce e che senza illuminazione cambiano la loro natura. In "Cosmo" i segni prendono vita e il bianco diventa più bianco quando si decide di guardare il cielo e l'occhio mette a fuoco costellazioni e galassie che emergono dal buio. Elementi astratti vagamente riferiti al’universo organico si stagliano nell'oscurità come un corpo esploso. E al Cosmo si contrappone “Antitesi”, con la sparizione della materia che diviene antimateria e anti-corpo. Nelle opere di formato più ridotto compare gradualmente il colore emergendo dal nero per farsi infine protagonista, da una parte a costruire uno scheletro ("Skeleton") e dall'altra come pura decorazione ottenuta attraverso il recupero degli inchiostri utilizzati per i monotipi che vengono stesi sulla matrice e stampati secondo spatolate libere della serie "Cleaning-up the studio".

Testo critico di Roberto Bilotti Ruggi d'Aragona

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