Cinema e teatro
Sergio Ferroni
Non chiamarmi Joan Crawford: Jessica Ferro alla Bottega degli Artisti
Un atto unico che vuole essere un tributo ad una delle grandi interpreti del cinema statunitense dal cinema muto degli anni’20 fino agli anni ’40, la sera della sua proclamazione a vincitrice dell’Oscar come miglior attrice protagonista. Siamo nel 1946, Joan è candidata agli Oscar per il film “Mildred Pierce” (Il romanzo di Mildred), ma ha il terrore di non riuscire a portare a casa l’anelata statuetta. Le nominations vedono, al suo fianco, attrici del calibro di Greer Garson (già vincitrice dell’Oscar nel 1943 per La signora Miniver) e l’attrice rivelazione Ingrid Bergman (vincitrice l’anno precedente con il film “Angoscia”).
L’attrice decide quindi di fingersi malata e non andare alla cerimonia.
Ma le aspettative sono tante, l’attesa è snervante, la tensione è palpitante. Joan rimane incollata alla radio, seguendo la cerimonia in un crescendo di emozioni contrastanti, finchè non sentirà fare il suo nome con la fatidica frase…and the Oscar goes to. Urla di gioia rompono la tensione del momento, immediatamente chiama a raccolta parrucchiere e truccatore per le foto di rito che la immortalano, in camicia da notte, sul suo letto, con la statuetta tra le braccia e un sorriso radioso. Come dichiara Francesca Bruni nelle sue note di regia: “Joan Crawford: la diva per eccellenza, la donna imperfetta che ha reso perfette le sue imperfezioni agli occhi del pubblico di tutto il mondo. Con le sue spalle larghe, la sua bocca da squalo e quelle sue sopracciglia enormi. Una donna amata, odiata, criticata e acclamata allo stesso tempo. Ma chi era davvero Joan Crawford? Cosa si celava veramente dietro quella maschera di perfezione? Una vera e propria illusione. Ed è proprio questa illusione che grazie al meraviglioso testo di Antonio Mocciola ho voluto rappresentare. Una donna nuda, spoglia della sua divinità che confessa le sue debolezze al di là dello specchio, parlando al pubblico seduto in sala e a sua figlia Christina, rappresentata da una bambola di porcellana, l’unica vera presenza inanimata in uno spettacolo fatto di non presenze, ma di personalità che hanno segnato per sempre la vita di questa donna ferita che si è fatta da sé. Uno spettacolo forte che affronta con estrema semplicità verità difficili da digerire e che punta a lasciare lo spettatore spiazzato, in bilico tra un sentimento di pena e odio, di ammirazione e di leggerezza. Uno spettacolo in cui purtroppo e per fortuna ci riconosceremo in molti.” L’abito di scena di Jessica Ferro è realizzato dal costumista Gregorio Maria Mattei, con materiali di scarto tessile e di riuso forniti da Esperienze Italia, Make Up Artist Valentina Mori.
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