
Arte e cultura
Redazione
A casa di Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona.
Ad accoglierci nell’atrio della splendida casa di Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona, a due passi da Palazzo Spada, è un’erma bifronte del II sec. a.C., che rappresenta gli dei Dioniso e Demetra. A un paio di metri di distanza, ma risalente da più di duemila anni dopo, c’è una curiosa scultura di Giano, il dio dei passaggi e dei nuovi inizi, realizzata da Gino Severini. Già nel dialogo tra queste due opere, separate da due millenni ma qui vicinissime nello spazio, può essere sintetizzata l’attività mecenatistica di Roberto.
D: «Come e quando è nato il tuo amore per l’arte?»
R: «Posso dire di essere letteralmente nato in mezzo all'arte, in quantoi miei genitori, così come i miei nonni e zii, avevano numerose collezioni, che spaziavano dall’antico al moderno. Respirando quest’atmosfera fin da piccolo, era naturale che anch’io mi occupassi d’arte nella vita. Il primo incarico attivo lo ebbi quando iniziai a collaborare con mio zio, che aveva una sua procura all’estero. Da allora ho continuato a seguire le orme di famiglia.»
D: «Orme che ti hanno portato a intraprendere numerose iniziative nel sud, dalla Campania alla Sicilia, passando per la Calabria.»
R: «Esattamente. Partiamo da Salerno, di cui è originaria la mia famiglia. Qui, nel Quattrocento, Alfonso d’Aragona trasformò in ospedali dei palazzi abbandonati e li fece affrescare, convinto, con un’intuizione olistica precocissima, che solo secoli dopo le neuroscienze hanno confermato, che l’esposizione di opere d’arte avrebbe giovato ai malati. In seguito un mio prozio, il marchese Giovanni Ruggi d’Aragona, fondò a Salerno gli ospedali Ruggi d’Aragona, in cui continuò la “tradizione” inaugurata da Alfonso, facendo esporre dei quadri staccati dal suo palazzo. Io sono stato chiamato a dare una sistemazione ad alcune di queste opere, che ho poi integrato con quelle fatte realizzare appositamente da artisti contemporanei. Al giorno d’oggi, il corpo ospedaliero è costituito da cinque strutture, a Salerno, Ravello, Ponte Cagnano, Cava dei Tirreni e Mercato San Severino, che accolgono 10.000 fruitori al giorno. Questo aspetto “sanitario” dell’arte è probabilmente uno di quelli che mi rende più orgoglioso della mia attività, e dà soddisfazioni emotive e umanitarie molto più forti di quelle che possono dare le attività museali.»
D: «Questo tuo impegno sociale si è poi manifestato anche in collaborazioni con i carceri.»
R: «Sì, un’altra iniziativa di cui vado molto fiero e che umanamante mi ha lasciato moltissimo. C’è stata la possibilità di portare un arazzo, realizzato su cartone di Raffaello, nei carceri di Salerno e Avellino, e per l’occasione i detenuti si sono trasformati in guide, in educatori. Avendo inserito i carceri nel Fai, il Fondo Ambiente Italiano, il flusso di visitatori è stato di conseguenza molto elevato. Ciò ha permesso ai detenuti di sentirsi davvero importanti e utili, e l’esperienza li ha investiti di un forte senso di responsabilità.»
D: «Continuiamo a scendere e arriviamo in Calabria, dove hai realizzato importanti musei a Cosenza e a Rende.»
R: «A Cosenza, l’idea è stata quella di donare anche al sud un suo importante museo del Novecento, che si unisse a quelli di Milano al nord e di Firenze al centro. Abbiamo così realizzato questo museo di scultura italiana novecentesca, che si distingue per il suo essere all’aperto. Il percorso si snoda per un chilometro, con 80 sculture dei più importanti artisti italiani del secolo scorso: Manzù, Greco, Fazzini, Rotella, Pomodoro, Severini, Balla, Mastroianni, Martini, Consagra e così via. Mi affascinava molto l’idea che, anziché restare chiuse in un museo, queste opere potessero integrarsi nella quotidianità della vita cittadina, diurna e notturna, e far compagnia alle persone mentre prendono un caffè o vanno in banca. Sai, mentre l’Ottocento è stato un secolo, dal punto di vista della scultura, prettamente francese, nel Novecento l’Italia ha raggiunto in questo campo una posizione di eccellenza.»
D: «Anche qui c’è un aspetto sociale forte quindi.»
R: «Certo. Il concetto era proprio quello di non andare in un luogo a vedere l’arte, ma lasciare che l’arte incontrasse i cittadini, facendo diventare il museo un luogo di inclusione sociale. Non un luogo in cui fuggire dal quotidiano, ma un luogo del quotidiano. Sempre a Cosenza, quest’idea di dare nuova vitalità alla città ci ha spinto a costituire la Casa delle Culture all’inizio del centro storico. Un centro storico che, nonostante la sua straordinaria importanza storica, testimoniata dal duomo e dal castello federiciano con le torri ottogonali, era un po’ abbandonato a se stesso, quasi spettrale. L'obiettivo di questo museo all'ingresso della città vecchia è stato quello di ridarle un'identità, con l’esposizione delle fotografie ottocentesche che Filippo Telesio aveva fatto dei palazzi. Nel museo si può quindi vedere come erano arredati e come erano vissuti quegli stessi palazzi che oggi fanno parte del centro storico, tentando di ridargli un’anima. Inoltre, gli abiti d’epoca che si vedono nelle foto sono esposti nella loro realtà, con l’intento quindi di far riscoprire anche l'eccellenza del territorio, quella seta con cui nel Cinquecento la Calabria vestiva le corti d’Europa. Infine, ho voluto darealla provincia di Cosenza un museo dedicato a San Francesco di Paola, il personaggio più importante della Calabria, noto internazionalmente - Picasso di secondo nome si chiamava Francesco di Paola. Ho donato una mia raccolta di dipinti dal Cinquecento al Novecento, e ho poi chiesto ad alcuni artisti contemporanei di interpretare i miracoli e tutta quella che è l’iconografia meno nota del santo.»
D: «Un grande amore per la Calabria insomma, che forse trova la sua massima manifestazione a Rende.»
R: «Il progetto di Rende è nato dall’esigenza di salvare un borgo, che rischiava di essere abbandonato per via dello spopolamento, trasformandolo in una cittadella dell’arte. In collaborazione con l’amministrazione locale abbiamo costituito due musei, uno di arte contemporanea nel castello, e uno della ceramica che verrà inaugurato il 17 maggio. La Calabria, a parte alcune cose minori, non aveva un museo di arte contemporanea di fatto, complice un atteggiamento poco attento da parte delle istituzioni, e ho sentito il richiamo civico a compensare a questa mancanza. Ho deciso quindi di donare la mia collezione principale al Comune di Rende, con opere importanti di Isgrò, Nagasawa, Fioroni, Warhol, Balla, Ruffo, Mochetti, e ancora Spalletti, Kounellis, Ontani, Pizzi Cannella, Patella ecc., per un totale di circa 400 pezzi.
D: «Col nostro giro del sud giungiamo infine a Palermo.»
R: «A Palermo abbiamo restaurato Palazzo Oneto, un esempio straordinario di barocco siciliano, molto opulento, con un bellissimo ciclo di affreschi, che abbiamo fatto diventare un museo aperto al pubblico, a via Bandiera. Inoltre, stiamo lavorando sui Quattro Canti, la quadripartizione della città vecchia, che di fatto rappresenta il baricentro di Palermo. In Calabria c’era in ballo anche un altro progetto, per la costituzione di un museo presso il castello di Scilla, vedremo come evolverà la situazione.»
D: «Tornando a Roma, non si può non citare l’Aranciera di Villa Borghese, che dal 2006 ospita il museo intitolato a tuo zio Carlo, e che attualmente presenta la mostra “Tra mito e sacro. Opere delle collezioni capitoline di arte contemporanea”.»
R: «Per quel che riguarda l’Aranciera, facendo ancora oggi parte del comitato scientifico della sovrintendenza capitolina, seguo un po’ tutto ciò che riguarda l’attività espositiva, dalla gestione della permanente alle esposizioni temporanee. La mostra attualmente in corso riunisce opere in deposito di artisti novecenteschi come Leoncillo e Pericle Fazzini, e una collettiva di contemporanei come Carlo Maria Mariani e Fiorella Rizzo, tra gli altri.»
D: «Vuoi fare qualche breve cenno alla tua collezione personale? Cosa resta nella tua casa, a fronte di una così intensa e generosa attività di promozione artistica?»
R: «Come ti dicevo prima, la maggior parte della mia collezione l’ho donata al Comune di Rende, quindi in casa, anche per ragioni di spazio, restano solo alcuni pezzi minori. D’altronde non ho il senso del possesso, non sento il bisogno di dover possedere le opere, quanto più lo stimolo di condividerle e renderle fruibile agli altri.»
D: «A tal proposito, dai anche la possibilità di vedere la tua collezione?»
R: «Assolutamente sì, apro la porta di casa a chiunque mi faccia richiesta di poterla visitare.
Attualmente in casa posseggo una collezione ceramico-vascolare, che si snoda in un percorso espositivo strutturato per gruppi storico-geografici. Si parte quindi con un primo nucleo di vasi d’epoca magno-greca, per passare a pezzi medievali d’area normanna, angioina e aragonese, e arrivare alle produzioni popolari. Anche questa collezione archeologica tuttavia, vincolata e dichiarata dal Ministero di grande importanza culturale, avrei intenzione di musealizzarla. C’era stato anche un primo approccio con la sovrintendenza per capire se fosse possibile sfruttare il casino del Graziano, un piccolissimo edificio vicino allo zoo, per realizzare un museo didattico incentrato sulle culture del mediterraneo, dove i bambini avrebbero potuto studiare i miti greci direttamente su questi vasi, ma purtroppo il progetto si è poi fermato.»
Mentre Roberto parla, al suo fianco domina il salotto una scultura delle “Forme uniche di continuità dello spazio” di Boccioni. Nessun’opera probabilmente potrebbe incarnare meglio il dinamismo e l’entusiasmo che animano la casa, dove l’arte, in un continuo via-vai per il mondo, fa compagnia a Roberto da tutta la vita, e da dove Roberto si prodiga da sempre per farla uscire e a andare incontro agli altri.
Edoardo Cenciarelli

Redazione di LN International
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