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Si è riacceso domenica 12 luglio il conflitto tra l’Armenia e l’Azerbaigian, che ha interessato l’area del Caucaso meridionale nei primi anni novanta e non cessa di generare nuove tensioni.
Sergio Ferroni

Ritorni di guerra tra Armenia e Azerbaijan: una considerazione

La notizia, recentemente giunta dal Caucaso di una ripresa delle ostilità tra l'Armenia e l'Azerbaijan a riguardo del conteso territorio del Nagorno Karabagh, colpisce, ma non ci sorprende.

E' lo stesso copione che guida insistentemente lo svolgimento del conflitto con ripetuti tentativi di guerra dopo, ammettiamolo pure, il fallimento della mediazione internazionale condotta in primis dall'OSCE con il Gruppo di Minsk.

L'aggressione infatti, consumatasi domenica 12 luglio direttamente sul confine tra i due Paesi, tra le località di Tavush in Armenia e Tovuz in Azerbaijan, peraltro reciprocamente contestata con rimbalzo di responsabilità da parte dei due Governi, confermerebbe ancora una volta lo stallo “tecnico” del processo di pacificazione avviato ormai, ma senza successo, da oltre vent'anni in seno all'OSCE.  Un processo, questo, che non riesce a focalizzare, né tanto meno a far riconoscere, il vizio primigenio di una mediazione fondata sulla inconciliabilità di due principi internazionali fondamentali: da un lato l'integrità territoriale degli Stati, sostenuto da Baku, dall'altro quello dell'autodeterminazione dei popoli voluto da Yerevan.

Superfluo, per fare il punto oggi sulla situazione, ricapitolare tutta la storica vicenda dei rapporti tra Armenia e Azerbaijan per il controllo del Nagorno Karabagh, territorio originariamente armeno e popolato essenzialmente da armeni. Basti tuttavia osservare, per obiettività di cronaca, come la conquista di una propria sovranità e indipendenza sia stato l'obiettivo dichiarato e conseguito da tutte quelle repubbliche ex sovietiche, e dalle regioni a queste interne con vocazioni autonomistiche come il Karabagh, che all'indomani della dissoluzione dell'URSS hanno intrapreso la via dell'indipendenza in virtù della legge sovietica sulla ”Secessione degli Stati”  approvata dal Soviet Supremo dell'URSS il 3 aprile del 1990. Un diritto, quello sancito da questa legge, di cui si è naturalmente avvalso l'Azerbaijan per proclamarsi indipendente, senza per contro che venisse riconosciuto lo stesso diritto al territorio autonomo del Karabagh. Ecco in estrema sintesi, e aldilà di considerazioni surrettizie e pretestuose, il vero oggetto del contendere. Ma i Governi e i circoli politici  interessati più alle fonti energetiche dell'Azerbaijan che al riconoscimento dei valori di libertà, dimenticano molto spesso che l'affermarsi di un mondo prevalentemente libero negli ultimi settant'anni sia stato possibile solo grazie a quel principio di autodeterminazione dei popoli di cui proprio le Nazioni Unite si sono fatte paladino per affrancare dal colonialismo interi continenti. E in questo quadro internazionale, sorprende come proprio le Nazioni Unite abbiano adottato sul Karabagh le Risoluzioni del 1993, e più recentemente la n. 62/243 del 2008 (peraltro rigettata dai mediatori dello stesso Gruppo di Minsk),  in totale disprezzo di una imparziale quanto obiettiva valutazione di quel principio di libertà  tanto prima sbandierato dalla medesima Organizzazione per oltre mezzo secolo! Ma la memoria è corta in certi casi, e a fronte della determinata volontà del popolo armeno del Karabagh ci si ostina ancor oggi a non riconoscere le storiche verità vedendo addirittura qualcuno  nell'indipendenza del Kosovo un pericolosissimo precedente per la minaccia alla integrità territoriale degli Stati.

L'esasperazione del popolo armeno è alta di fronte a simili episodi di guerra che ormai si ripetono con ricorrenza. E se da una lato il prolungarsi di una situazione di stallo nel processo di pace non giova di certo all'Armenia che rischia, per la pubblica opinione, di vedersi trasformare e capovolgere la sua linea di difesa addirittura in aggressione, dall'altro si dovrebbe da parte di tutti i Governi occidentali ed europei interessarsi più da vicino all'evolversi di questa crisi caucasica onde evitare che l'Armenia messa alle strette da aggressioni portate direttamente sul suo stesso  territorio e con vittime civili, come è stato il caso coi fatti del 12 luglio scorso, reagisca mutando con la forza ancora una volta i confini in un'area per giunta particolarmente strategica per l'Europa per via del transito di importantissime condotte energetiche.

             La Storia dell'Umanità, come ben sappiamo, è stata segnata da un continuo mutamento dei confini; guerre, rivoluzioni, rivolte, insurrezioni  hanno da sempre puntato a cambiare a seconda degli interessi in gioco le frontiere tra le Nazioni, ma il fine ultimo dei tanto invocati processi di libertà non è mai cambiato, è stato invece sempre lo stesso: conseguire una propria autonomia e una sovrana indipendenza!

Ecco, dunque, che la questione del Nagorno Karabagh, a distanza ormai di oltre un ventennio dallo scoppio della guerra, ci ripropone in tutta la sua drammaticità il dilemma di quale principio debba sacrificarsi e quale debba prevalere. Ma per noi non c'è dubbio: sono i confini al servizio dei popoli e non il contrario!

 

Bruno Scapini

già Ambasciatore d'Italia 

Presidente Onorario e Consulente Generale

Ass.ne Italo-armena per il Commercio e l'Industria

 

 

 

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