Salute e benessere
Già con Aristotele e Platone, si evidenziava il profondo dilemma del rapporto dell'uomo con il suo simile e, dunque, con la società di appartenenza.
Sergio Ferroni

“Covid - 19. Un esercizio di biopolitica?” Ne parliamo con l’Ambasciatore Bruno Scapini.

Se le leggi, infatti,  costituiscono il medio comportamentale per la gestione della nostra vita associativa, viene spontaneo chiedersi se esse siano il prodotto di un patto stipulato per libera scelta tra i vari individui in virtù di comuni e riconosciute esigenze, o piuttosto l'esito di un'idea illuminante ispirata da una entità trascendente e identificabile nel divino, depositaria, in quanto tale, della verità.

Per Aristotele l'esperienza del trascendente non pare necessaria affinché l'uomo possa darsi una idonea normazione sociale. Ad Aristotele, contrariamente a Platone, basterebbe un'etica fondata sull'analisi delle condotte umane e liberamente condivisa per raggiungere questo fine.

La contrapposizione tra le due diverse concezioni della realtà sociale non si è però esaurita al tempo dei due grandi pensatori. Essa è emblematica per contro di un dibattito che è in effetti continuato nei secoli successivi protraendosi fino ai nostri giorni con esiti sorprendenti e quanto mai incredibili.

 Dalla constatazione sconvolgente di una aggressività diffusa e permanente che caratterizzerebbe i rapporti della socialità umana,  visione mirabilmente sintetizzata dal filosofo Thomas Hobbes nella formula “homo homini lupus”, si passa all'altra, contrapposta e sublimata, di “homo homini deus”.  Una rivoluzione concettuale quest'ultima, secondo la quale è solo ponendosi un “dio” come misura alla quale rapportare le proprie azioni, che l'uomo riesce a trovare lo strumento sistemico per darsi ordine ed equilibrio.  

Già da qualche tempo si parla dei gravi problemi che in un futuro non molto lontano affliggeranno l'umanità, ma di cui già oggi si riconoscono purtroppo i segni prodromici. E' stato il Club di Roma tra i primi ad indicarli. Il tema del raggiungimento dei limiti allo sviluppo si è rivelato, infatti, un cavallo di battaglia per tutti coloro che hanno creduto, e che credono tuttora, che non ci sia più “chance” per tutti per  vivere dignitosamente su questo Pianeta. Ce ne vorrebbero addirittura altre cinque di Terre, dicono costoro, se volessimo garantire oggi ai sette miliardi di individui che popolano il mondo lo stesso tenore di vita dei Paesi occidentali!  E così da parte di qualcuno si preconizza l'avvento di un “nuovo ordine mondiale”!

Che qualcosa non funzioni sembra comunque evidente. Esplosione demografica, esaurimento delle risorse naturali, inquinamento ambientale, cambiamenti climatici, sono solo alcuni dei terribili scenari che con crescente frequenza ci vengono proposti ai nostri occhi.  E l'equilibrio che abbiamo cercato di dare a questa situazione,  in perenne evoluzione verso il peggio, appare vieppiù insufficiente e instabile. Ed ecco allora che rompendosi questo equilibrio, il primordiale istinto di aggressività riaffiora e spinge l'uomo alla violenza.  Se Platone indicava  il “dio” quale referente per convincere l'uomo a darsi una regola ( e in fondo  quando il Signore consegna a Mosé le tavole dei Comandamenti  non fa che confermare la validità di una fonte divina che ci viene offerta dalle grandi religioni monoteiste per spiegare la trascendenza delle leggi ), traslando il concetto nelle società laiche del nostro tempo ritroviamo che la fonte normativa e regolatrice dei rapporti umani viene a risiedere nel riconoscimento di un' '”etica” imposta. Ma da chi? Da qualcuno che forse intende sostituirsi a un “Dio”?

La risposta è ardua. Lo studio dei fenomeni sociali sfugge a schemi teorici precostituiti.

La realtà umana è estremamente variegata per poterla definire e contenere negli stretti ambiti di una teorizzazione accademica.  Tuttavia un lodevole sforzo pare si sia fatto e si stia ancora conducendo per riportare sotto un ordine precostituito le dinamiche che originano dai rapporti umani.

E' la “biopolitica” la nuova disciplina che ci soccorre in questa prospettiva.

Ad essa  affidiamo lo studio improbo di questa fenomenologia sociale, ad essa chiediamo di darci le giuste risposte alle tante problematiche che emergono da un mondo in continua evoluzione e in cui il progresso tecnologico, allargando a dismisura i limiti dello spazio,  pone direttamente a confronto oggi aree del Pianeta prima tra loro lontanissime per metterne a nudo diversità, divergenze, disuguaglianze, conflittualità, gradi di sviluppo e stili di vita e di culture differenti. Si tratta di un confronto aperto tra condizioni e dimensioni contrapposte: tra ricchezza e povertà, tra sanità e inquinamento, tra civile e militare, tra individuale e collettivo, tra regionale e internazionale, tra nazionale e globale, tra libertà e restrizioni. E così, in un quadro critico estremamente sfaccettato ci sembra quasi inevitabile l'esplosione di una rinnovata voglia di nuovi traguardi, con la conseguente necessità di disporre di un potere di governo sempre più capace di affrontare e gestire le nuove criticità. Un obiettivo, questo, non senza un costo per la società, costretta a rinunciare a segmenti successivi di libertà in favore di una maggiore sicurezza, sia essa intesa come stabilità economica o protezione fisica dalla violenza.  Ed è la tecnologia che ci aiuta in questo processo di controllo. Ma sarà tuttavia inevitabile, a fronte dell'impossibilità di contenere fenomeni di crisi diffusa sempre più gravi, che l'uomo venga indotto ad accettare lo “stato di eccezione” per assicurarsi la salvezza. La biopolitica allora? A questo punto vogliamo credere che la biopolitica possa divenire, se correttamente utilizzata, lo strumento conoscitivo più idoneo per mettere a frutto  le capacità di prevenzione delle crisi o per trovarvi un rimedio.

Ma non per restringere, ricorrendo a sofisticati dispositivi di controllo, la sfera delle fondamentali libertà. Dovrà essa invece riconoscerne  il primato sulla prigionia corporale e mentale, e privare alla radice le crisi delle loro fonti di nutrimento eliminando le cause di disuguaglianze economiche, di iniquità sociale e di ingiustizia. La biopolitica dovrebbe, insomma, servire all'uomo non solo per emanciparsi dai condizionamenti imposti dall'ambiente naturale, ma anche per evitare il pericolo che le libertà stesse diventino  un'illusione chimerica per convincerlo ad accettare il controllo come condizione di normalità, e indurlo magari a costruirsi, fingendo un affrancamento  dalle condizionalità, una nuova anima supplementare con la quale ingabbiare il proprio corpo inducendolo a tacere sotto la minaccia del ricatto.

Tuttavia, non risulta agevole ipotizzare una definizione univoca di biopolitica universalmente valida e capace di trascendere le tante e variegate strumentalizzazioni di cui la gestione del potere  si avvale.

Unica certezza che possiamo rilevare è l'oggetto che la biopolitica si pone per definire l'ambito epistemologico della propria ricerca: la vita e il “vivente”. Naturalmente un tale amplissimo ambito di disamina si potrà valutare a seconda delle varie epoche e in considerazione dei diversi tipi di sistemi valoriali di riferimento. Ed è in questa ottica che vediamo come si possa passare dalle forme più brutali di un potere che assume, nelle sue espressioni più estreme, la soppressione della vita a proprio fine – e questo sarebbe il caso della “soluzione finale” proposta dal potere nazista - alle forme più sublimate in cui l'idea di garantire il benessere, la prosperità e il miglioramento delle condizioni libere dell'esistenza viene assunta a obiettivo e finalità primaria.

Notiamo, quindi, in questa prospettiva, come il campo di azione della biopolitica possa essere estremamente vasto, potendo essa incidere sul “vivente” per esaltarlo, ma anche per condizionarlo e persino  annientarlo nella sua libera identità facendo perno proprio sulle finalità della sicurezza e del controllo per giustificare l'intervento.  Una tendenza, quest'ultima,  particolarmente odiosa che appare ai nostri giorni  peraltro sostenuta proprio dal grande sviluppo delle tecnologie che propongono con sempre maggiore insistenza il ricorso a dispositivi altamente sofisticati ed invasivi, e persino in grado di manipolare la volontà e il libero arbitrio dell'individuo. Tantissimi sarebbero già oggi  gli scenari in cui il “vivente” viene assunto a oggetto di controllo e di limitazioni. Di particolare valore evidenziale a questo riguardo abbiamo registrato l'effetto della diffusa criminalità urbana che ci ha indotti ad installare nei negozi, nella strade, negli uffici, ovunque,  videocamere  che costantemente ci sorvegliano. Così, è anche per l'utilizzo del contante.

Il pretesto di combattere un'evasione fiscale pretestuosamente ricondotta all'indole malefica del cittadino, anziché a una tassazione oppressiva e ai limiti della tolleranza, suggerisce metodi sempre più restrittivi per il suo uso, fino a prevederne addirittura l'abolizione!  Ma ben più incisivo si è dimostrato quell'altro fenomeno tutto moderno rappresentato dal “terrorismo”.  Dobbiamo proprio alla tragedia americana dell'11 settembre, infatti,  se in nome di una lotta ai terroristi siamo arrivati ad accettare una sottomissione a forme di regolamentazione della nostra vita particolarmente invasive. Salvaguardarla, ci è stato detto, avrebbe comportato un sacrificio di una parte della nostra  libertà.  E così, in luoghi nevralgici o particolarmente sensibili come gli aeroporti ad esempio, ci hanno assoggettati a controlli ai limiti della perquisizione personale che in altri tempi avrebbero richiesto almeno l'autorizzazione di un'autorità giudiziaria! Tuttavia, li abbiamo accettati, e lo abbiamo fatto in cambio di una nostra sicurezza. Ma tanti ancora potrebbero essere gli esempi fino all'ultima inaspettata, incredibile e mai immaginata esperienza offerta dalla pandemia da Covid-19.

La “innaturale” naturalità di questa infezione che ha investito come il vento l'intero Pianeta, mettendo in ginocchio Stati e Governi  per via di una sua presunta, ma mai veramente dimostrata, alta letalità, ha indotto più di qualcuno a riflettere e anche a sospettare sul come e sul perché del fenomeno.  E dopo ondate di notizie inconcludenti e contraddittorie e una serie di comportamenti scomposti al limite della irrazionalità, solo oggi ascoltiamo da parte di coloro che possono godere di una libertà di parola, i primi atti di accusa per delle responsabilità non solo a riguardo della diffusione della malattia, ma addirittura anche per una sua supposta origine artificiosa, manipolata in occasione di oscuri lavori tenuti in segretezza in lontani laboratori di bio-ingegneria.  Una fatalità? Un caso fortuito? E' difficile immaginare che certi eventi a forte capacità impattante a livello mondiale, e sopratutto legati ad interessi finanziari di dimensioni planetarie, ma purtroppo concentrati nelle mani di pochissimi individui senza scrupoli, non siano frutto di menti perverse e di sottili calcoli economici.  Ci si domanda allora, di fronte a questa innegabile capacità di alcuni di alterare le condizioni di esistenza dei tanti, se e come le nostre società potranno reagire a questi comportamenti invasivi che appaiono sempre più come  veri attentati alle libertà individuali. C'è chi vede nel fenomeno il segno di un cambiamento epocale, l'avvento di un'era in cui gli uomini saranno sottomessi da tecnologie sofisticatissime, di cui solo alcuni potranno disporre. Ovvero, si preconizza per l'uomo un livello di esistenza in stretta simbiosi col potere, attraverso una macchina, di certo costruita con nanotecnologie e chip, ma ben capace di determinarlo nelle sue scelte e in grado di comunicare a insospettati – quanto ignoti - centri di “database” notizie e informazioni sul suo stato di salute, su cosa egli faccia, dove vada, chi incontri, cosa acquisti e come la pensi, stabilendo addirittura il suo guadagno giornaliero, non più nella tradizionale vecchia, ma confortante banconota di carta, bensì  in cripto-valute, sulla base  di una quantificazione delle sue attività condotta con micro dispositivi corporali applicati sotto pelle.

Non è fantasia tutto questo, né fantascienza, anche se ne avrebbe tutti i crismi. E' già tecnologia esistente, purtroppo!  E la biopolitica, in questa sua versione più sottilmente aberrante, deve poter far leva, per giustificare il suo intervento,  sulla presenza, reale o potenziale, purché credibile, di una minaccia. Il Covid-19 è stata l'ultima delle minacce in ordine di tempo. Ma la peggiore. La peggiore per via della sua forza impattante a livello planetario, ma anche per gli intenti fraudolenti che con essa ci si propone. Gli effetti? La produzione di un'ansia individuale e collettiva incontrollabile che, indebolendo l'individuo lo rende certamente più vulnerabile, attaccabile e, aspetto più grave, privo di una capacità critica di discernimento.

Possiamo così  affermare in questo quadro che è proprio sotto la spinta della globalità che la minaccia di danno alla vita si è imposta oggi con maggiore e crescente entità. La vita, del resto, è la massima posta in gioco in un confronto, e l'esigenza di proteggerla induce necessariamente ad un esercizio del potere fondato su una necessaria  invasività dei fondamentali strumenti di governo.  L'assunto da cui si parte è, e resta comunque, l'idea che distruggere è di certo più facile che costruire, e distruggendo si arreca un danno la cui entità può dissuadere o convincere.  E quando si distrugge la vita il danno raggiunge il suo massimo effetto! Ed è allora che acquisterebbero giustificazione la prevenzione, la protezione e il controllo! Strumenti, questi, utilizzabili nel bene in molti casi, ma tuttavia manipolabili da parte di poteri spregiudicati sopratutto nel male, allorché si comprimono le libertà in nome di un assoggettamento totalitario dell'individuo al controllo. Un pericoloso processo di avvitamento dei diritti di libertà sarebbe questo, fino a rendere possibile l'instaurazione di uno “stato permanente di eccezione” al quale l'individuo, subdolamente , ma inesorabilmente, verrebbe indotto sotto un ingannevole pretesto di salvezza, colpendolo in quello che esso ha di più caro e prezioso: la dimensione della propria salute fisica.

Il pericolo di una progressiva restrizione della sfera di libertà personali parrebbe dunque immanente all'affermarsi di questo “stato di eccezione”, e una biopolitica che lo cerca e lo attua sarebbe la più grande iattura per l'intera umanità. Sarebbe la negazione dei quei diritti di libertà che al costo di tanti sacrifici l'uomo ha saputo nella Storia conquistare, sarebbe la negazione della libera espressione del suo genio creativo. 

Il Covid19?  Definiamolo allora come il più grande esercizio di “governamentalità” che l'umanità abbia finora conosciuto; un esercizio concepito, e sottilmente diretto, da alcuni individui con l'intento di sostituirsi nella gestione del mondo al “dio” preconizzato da Platone.  Riteniamolo pure una verifica, dunque. Una verifica sulla reattività politica dei Governi, un test sulla capacità dei sistemi  economici di contenere le crisi, ma sopratutto una prova sulla idoneità dell'uomo comune ad accettare livelli crescenti di invasività dei controlli in vista di un suo prossimo asservimento totalitario. 

Cos'è dunque la pandemia da Covid-19? Un malefico esercizio di spregiudicata biopolitica!

 

Bruno Scapini

già Ambasciatore d'Italia 

Presidente Onorario e Consulente Generale  Ass.ne Italo-Armena per il Commercio e l'Industria

 

 

 

 

 

 

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