Economia e finanza
Sergio Ferroni
I soldi del Recovery? Almeno fateli fruttare.
Articolo di Pier Luigi del Viscovo (foto di apertura) per il Giornale.
Ma si può gestire un’operazione gigantesca di finanza pubblica alla Pippi Calzelunghe, che ha trovato in soffitta un tesoro e deve solo decidere come spenderlo? Li chiamano investimenti ma non lo sono e produrranno una crescita scarsa, fatta di consumi interni con i soldi che arriveranno a imprese e famiglie in forma di lavoro e occupazione, e non strutturale, perché finiti i soldi quelle attività non saranno in grado di generare sviluppo. Deve esser chiaro che non tutti gli investimenti producono ricchezza, ma solo quelli indirizzati a un’attività che abbia un mercato. Ad esempio, l’investimento di Jeff Bezos in Amazon, durato oltre un decennio, sta producendo ricchezza e occupazione perché c’è una domanda di e-commerce. All’opposto, la vela di Calatrava che si staglia nella periferia romana è stato uno spreco di quasi 300 milioni. Oh sì, hanno prodotto reddito per le imprese e per i loro lavoratori finché sono durati, poi basta. Ora ne vengono stanziati altri 300 e lo sperpero riprenderà, come gran parte del Recovery Fund con cui i politici compreranno consenso elettorale. Tutto debito che i nostri figli dovranno sostenere pregando che i tassi restino bassi a vita. Tanto a restituire non ci pensa più nessuno.
Gli investimenti che producono crescita non partono da una cifra disponibile né da un settore in cui intervenire. Il ruolo dello Stato è di rendere il Paese attrattivo per le imprese e i capitali privati, già naturalmente orientati a investire per creare ricchezza e occupazione. Si tratta di selezionare le infrastrutture da migliorare, fisiche e digitali ma anche di processo, come i tempi e la qualità del sistema giudiziario e della pubblica amministrazione in generale. A condizione che ci sia un ritorno sull’investimento. Ad esempio, prendiamo un porto ben posizionato, grande e dotato di buoni servizi, che però gira al 60% del suo potenziale di traffico per le difficoltà di accesso via terra. Un investimento sulle strade di collegamento lo renderebbe più competitivo. Eppure, l’investimento non andrebbe fatto in ogni caso, ma solo se la crescita attesa fosse in grado di ripagarlo. Perché se così non fosse dovrebbero pensarci i nostri figli. Dalla mancanza di questi obiettivi discendono in parte anche i ritardi e gli sprechi che certamente accompagnerebbero l’investimento. Perché senza un risultato economico definito l’obiettivo diventa la realizzazione stessa dell’opera. Così, purché sia terminata va tutto bene e un giorno qualcuno farà anche una compiaciuta inaugurazione.
Questo approccio sconsiderato è possibile grazie a quei giornalisti che sorreggono i politici in quel comizio perpetuo che è diventata l’informazione. I pochi rispettabili si limitano a fare le pulci a posteriori agli investimenti, scoprendo che è colpa di quelli di prima. Sarebbe ora di pretendere che per ogni intervento fosse prima indicato il ritorno economico, come fanno le imprese. Si sgonfierebbe anche la narrazione grillino-travagliesca, secondo cui purché non rubino va bene anche una banda di incapaci che stappa champagne quando crea debito. “Come imprenditore, festeggio quando estinguo un finanziamento, non quando lo accendo” ha tuonato Luisa Todini, un’imprenditrice.
Insomma, nel Recovery Plan manca una seria e rigorosa stima degli obiettivi economici.
Senza, ogni investimento è al massimo una puntata alla roulette. Semplificando, per valutare un investimento non ti chiedi “cosa fare” ma “per cosa farlo”.
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